Un giovane di Torino ha recentemente condiviso la sua esperienza di isolamento sociale estremo, noto come hikikomori, con La Repubblica, gettando luce su un fenomeno sempre più preoccupante anche in Italia. La sua storia inizia durante la seconda media, quando il trauma per la malattia della nonna lo ha spinto a chiudersi in casa. Inizialmente, né la scuola né la famiglia hanno compreso la gravità della situazione, attribuendo erroneamente il suo isolamento ai videogiochi.
“I miei genitori, all’inizio, pensavano che fosse tutta colpa dei videogiochi,” racconta il giovane. “Ma quando hanno iniziato ad ascoltarmi davvero e a starmi vicino, è lì che è iniziata la guarigione.” La sua esperienza sottolinea quanto sia fondamentale il sostegno della famiglia nel percorso di recupero di chi vive in isolamento.
Hikikomori: cosa significa
“Hikikomori”, un termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte”, si riferisce a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, a volte persino per anni. Gli individui che soffrono di questa condizione si rinchiudono spesso nella propria abitazione, evitando qualunque contatto con il mondo esterno, incluse le relazioni con i familiari.
Chi sono e quanti sono gli hikikomori?
Gli hikikomori sono per lo più giovani tra i 14 e i 30 anni, con una predominanza maschile che varia tra il 70% e il 90% dei casi. Tuttavia, il numero delle ragazze che soffrono di isolamento sociale potrebbe essere sottostimato a causa della difficoltà di rilevamento attraverso i sondaggi. Secondo le indagini del governo giapponese, sono oltre 1 milione i casi identificati, con una preoccupante incidenza anche nella popolazione over 40. Questo perché, sebbene la condizione emerga prevalentemente durante l’adolescenza, essa può cronicizzarsi e protrarsi per tutta la vita.
Anche in Italia il fenomeno sta destando sempre più attenzione, soprattutto dopo la pandemia, che ha contribuito ad esasperare le difficoltà di adattamento sociale. Sebbene manchino ancora dati ufficiali, si stima che nel nostro paese ci siano circa 100.000 giovani che vivono in condizioni di isolamento sociale estremo.
Le cause dell’isolamento
Secondo lo psicologo Marco Crepaldi, fondatore dell’associazione Hikikomori Italia, alla base di questa condizione c’è un disagio adattivo sociale. “I giovani che ne soffrono”, spiega Crepaldi, “sperimentano una forte ansia sociale e faticano a relazionarsi con i coetanei o a inserirsi nel tessuto sociale. Sono spesso ragazzi molto intelligenti, con un quoziente intellettivo elevato, ma di carattere introverso e introspettivo, socialmente inibiti, convinti che star da soli li faccia sentire meglio.” Queste caratteristiche li spingono a ritirarsi dalla vita pubblica, creando un circolo vizioso difficile da rompere senza il giusto sostegno.
Un fenomeno in crescita
La testimonianza del giovane torinese è solo una delle tante storie che fanno riflettere sull’importanza di non sottovalutare i segnali di disagio dei ragazzi. La sua “rinascita” dimostra che, con un ascolto attento e un supporto costante da parte della famiglia e delle istituzioni, è possibile rompere l’isolamento e ritrovare una strada verso la vita sociale. Tuttavia, il numero crescente di casi di hikikomori, sia in Italia che nel mondo, richiede un’azione tempestiva per creare una rete di sostegno che coinvolga scuole, famiglie e professionisti della salute mentale.